CITTÀ DEL VATICANO
“Non abbiate paura della tenerezza” l’incoronazione del Papa semplice che dal trono sa chiedere “per favore”.
E Bergoglio scende dall’auto per abbracciare il disabile.
Il Pontefice
Bagno di folla per la cerimonia di piazza San Pietro. Sorrisi e baci per i bambini.
L’UOMO sulle cui spalle grava il compito di risanare la Chiesa porta la sua croce senza alcun affanno, al contrario sorride. Come ogni grande condottiero compare sul campo di battaglia da un luogo imprevisto, in un momento inatteso.LA CURIA romana, avvezza da millenni alle liturgie blindate del potere, non ha ancora cambiato passo né sguardo: sono tutti lì nella piazza, solenni nei ruoli assegnati e consunti, stanno seduti rigidi davanti al trono vuoto. Lo aspettano da destra, lui arriva da sinistra. Pensano che manchi ancora tempo, invece è adesso. Appare da un lato della basilica sugli schermi giganti come un punto bianco che rotola silenzioso: sembra una grande goccia di latte che scivola attraverso i corridoi lasciati vuoti dalle transenne. Occupa lo spazio come un liquido. Avanti diritto, poi a destra, poi a sinistra, poi di nuovo a destra. Sta in piedi sull’auto, non ha protezioni. La folla lo chiama per nome, Francesco, lui si volta e a ciascuno sorride, prende in braccio un bambino che piange, poi fa cenno al conducente di fermarsi, ha visto qualcosa, vuole scendere. C’è un uomo tenuto in braccio dalla sorella, un uomo disteso colpito da un male che gli rovescia indietro la testa, gli allarga la bocca. Si chiama Cesare Cicconi, è tetraplegico da quando aveva otto mesi, avvelenato dal vaccino antipolio. Francesco lo bacia sulla fronte, lo stringe in un abbraccio. Piano dice alla donna: per favore, pregate per me.
L’uomo che dovrà compiere l’impresa di far dimenticare gli scandali, la corruzione e le «divisioni che deturpano il volto della Chiesa» di fronte ai quali Ratzinger ha scelto di ritirarsi per accelerare il compito immane e affidarlo a “un Papa forte e santo” è quello di cui c’era bisogno: un rivoluzionario. Lo è nel senso proprio del termine: colui che rovescia l’ordine delle cose. Ruota di 180 gradi la scena: la piazza è al centro adesso, protagonista, lui nella piazza, i potenti della terra sul loggione, i cardinali dorati e i vescovi di porpora con loro. Ruota e rovescia il senso delle parole restituendo loro il primo significato, riavvolgendo il nastro dall’inizio: il potere è un servizio, la vera forza è la tenerezza. Si rivolge al mondo dicendo per favore: proprio così, “vorrei chiedere, per favore”. Come quando appena arrivato ha detto “buonasera” e al primo Angelus “buon pranzo”, lui che è bravissimo a cucinare il polpo ripieno come gli ha insegnato sua madre, italiana. Lui che è stato straniero, povero, che sa di cosa parla quando dice “la fine del mondo”. La forza non è la durezza né l’arroganza, non è la distanza né la violenza. I deboli si comportano così, i forti sanno essere buoni. Addirittura teneri, dice “addirittura” con un velo d’ironia come se capisse quanto è difficile in questo mondo appellarsi alla bontà senza essere oggetto di scherno. «Non abbiate paura della tenerezza», parola che nell’omelia pronuncerà tre volte. Nessun argentino che ascolti può evitare di sentire il riverbero della più celebre citazione del più celebre rivoluzionario di ogni tempo, bisogna essere duri senza mai perdere la tenerezza. Nemmeno Cristina Kirchner può evitarlo, la presidenta seduta lì in prima fila coi suoi capelli sciolti col suo ventaglio nero, nemmeno lei che a Bergoglio aveva fatto la guerra ed ora, davanti a questo Papa con le scarpe consumate, si inchina vezzosa e consapevole della promessa che quelle scarpe coniugano.
Ci sono, nel palco del potere, i grandi della terra vestiti dei loro paramenti massimi. Il dittatore Mugabe e sua moglie di verde smeraldo adornata che non dovrebbero essere qui, sono in Europa persone sgradite ma hanno una “deroga religiosa”, in fondo anche lui ha studiato dai gesuiti. Il prossimo re di Spagna in divisa militare, bellissimo come fin da bambino prometteva, oggi al fianco di una moglie già regale. La regina del Belgio in bianco come una sposa. Angela Merkel nel suo tailleur migliore. Joe Biden a fare le veci. Dilma come tutti i sudamericani finalmente molto omaggiata. Le mogli africane che filmano l’altare con l’iPhone. Molta Unione europea, naturalmente molta Italia: il presidente Napolitano con Borsalino scuro accanto al neo presidente del Senato, con cui parla fitto. Le loro signore, una fila indietro Monti e Laura Boldrini a cui tanta emozione hanno dato le parole di papa Francesco sulla cura che ogni uomo deve avere dei più deboli, degli stranieri, dei malati e dei reclusi. «Abbiate cura del creato, dell’ambiente», dice ancora. L’ambiente, tremino gli speculatori e i cementificatori d’ogni razza.
La piazza sventola bandiere di tutti i colori, gli argentini sono venuti in massa, disordinati e vestiti delle maglie da calcio della nazionale. Un gruppo ha portato un fantoccio su un palo: ha il numero di Maradona, l’altra mano de Dios. Un giovane mostra sull’iPad le notizie diffuse proprio stamattina dal Clarìn, il quotidiano di Buenos Aires: non ci sono prove che Bergoglio abbia avuto rapporti con la dittatura militare, al contrario. Ecco la sua deposizione al Parlamento, vedete?, si è adoperato per salvare quei preti, è questo che ha fatto. Come che sia, oggi è il primo giorno di un tempo nuovo, un tempo che fuga ogni ombra. C’è un bambino biondo che canta con voce d’angelo di bellezza quasi inascoltabile. C’è un diacono greco che legge il Vangelo nella lingua che custodisce la civiltà.
“Sursum corda”, dice Francesco nella liturgia. In alto i cuori. Ed è questo il rivolgimento, la rivoluzione più grande: il cuore, in alto. Il cuore prima. La Chiesa ha avuto l’anima di Giovanni Paolo II, la ragione di Benedetto XVI. Ora ha il cuore di Francesco, e il suo corpo che incarna l’umiltà e i gesti così simili a quelli di Papa Giovanni, il papa buono. Francesco non indossa stole pregiate né ori, il suo anello è d’argento la sua croce di ferro, saluta la folla col pollice levato come uno yankee e mentre va all’altare, davanti al mondo intero, si guarda l’orologio. Di Papa Giovanni ritrova le parole e la semplicità, l’evangelizzazione è il suo compito — “portare calore e speranza” — senza tuttavia che trapeli mai, dai suoi modi e dal suo sguardo, alcuna ingenuità. Il Vescovo di Roma sa bene quale sia il compito che lo attende, quale drastica bonifica dovrà compiere nella Curia Romana. Padre Georg, figlio spirituale di Ratzinger, è lì costantemente al suo fianco. Anche oggi era lì. Lo assiste nel passaggio di consegne: gli ha mostrato dove si accende la luce nell’appartamento papale, ha spiegato scherzoso un alto prelato, ma anche gli ha indicato dove si trova la cassaforte in cui è custodita la Relatione dei tre cardinali incaricati da Benedetto di indagare sugli scandali. L’hanno vista insieme, Georg avrà tempo di fugare, eventualmente, ogni dubbio. Si capisce che ci sia più d’uno in apprensione fra porporati e famigli.
In San Pietro, per il saluto alle delegazioni straniere, il tempo si ferma. Gli avevano preparato un trono, lui non si siede. Sta in piedi per più di un’ora ad accogliere i saluti e i doni di ogni ospite, senza fretta. Con tutti scherza, a tutti — anche a Mugabe — sorride. A volte ride di gusto. Persino il pallore di Bertone, di cera alla sua destra, sembra illuminarsi. Il Papa è arrivato per primo, poco dopo l’alba, esce per ultimo. La basilica di San Pietro è vuota, quando la attraversa da solo. Oggi è la festa del padre, San Giuseppe. Per «una coincidenza l’onomastico del mio predecessore », la cui eredità è adesso lì sul tavolo. Il Santo Padre rivolge un’ultima preghiera solitaria a San Francesco, colui a cui il Signore chiese: «Vai e ripara la mia casa». Il santo degli ultimi. Come questo Papa consapevole di un segreto che a pochi, nella storia, è riuscito di mostrare. Più si scende e più si sale. Più ci si spoglia e più si è ricchi. Più ci si fa uguali a chi non ha nulla e più grande sarà il potere di sconfiggere il gigante arroccato nel palazzo coi suoi ori. Scalzi, o con le scarpe sformate, è lo stesso.
Da La Repubblica del 20/03/2013.
Bellissimo articolo! Ho rivissuto attraverso le sue parole l’emozione provata davanti allo schermo quando ho seguito la cerimonia di ieri.
Grazie.
Semplicemente grande
L’ha ribloggato su Elena.
Grazie. La citazione per il “Bambino biondo” mi ha inorgoglito e
commosso. E’ mio nipote.Grazie di nuovo.