Un anno di riforma – Le vecchie soglie penali sono state triplicate ma i controlli si concentrano quasi tutti al di sotto. Crollate fino al 90% le denunce alle procure. E basta linea dura sull’elusione.
Nell’agenda del grande rilancio, che dovrebbe riportalo a palazzo Chigi addirittura in tempo per presiedere il G7 di Taormina fissato per il 26 e il 27 maggio prossimi, Matteo Renzi ha inserito anche un grande convegno sull’evasione fiscale. Ci sta lavorando l’ex sottosegretario Tommaso Nannicini e già si parla di svolta programmatica su un tema rispetto al quale l’ex premier è stato superattivo in questi tre anni di governo, ma solo nello smantellamento sistematico di sanzioni e controlli. “Manette agli evasori”, la legge che nel 1982 introdusse le sanzioni tributarie penali nell’ordinamento italiano, è ormai solo uno spauracchio.
Il governo Spadolini l’aveva chiamata così per dare l’idea che anche da noi si faceva finalmente sul serio come negli Stati Uniti, dove gli evasori, grandi e piccoli, sono tutti considerati come Al Capone. Ma mentre oltreoceano si è arrivati a ritirare il passaporto a chi ha debiti con il fisco superiori a 50mila dollari, in Italia nel corso del 2016 il numero di denunce di reati tributari, presentate alle procure dall’Agenzia delle Entrate e dalla Guardia di Finanza, è crollato. Le prime stime parlano di un calo medio del 70%, con punte di oltre il 90% nelle grandi aree metropolitane. Nel 2015 la sola Guardia di Finanza aveva denunciato 13.665 soggetti per aver commesso 14.633 violazioni penali tributarie.
È l’effetto inevitabile della riforma delle sanzioni entrata in vigore il 22 ottobre 2015, con la quale il governo Renzi ha innalzato le soglie di evasione al di sopra delle quali scatta il penale. Per l’omesso versamento di ritenute certificate e dell’Iva si è passati dalla soglia ante “riforma” di 50mila euro a 250mila euro. Per la dichiarazione infedele il salto è da 50mila a 150mila euro. L’omessa dichiarazione annuale di redditi e Iva è da sanzione penale solo se l’imposta non dichiarata supera i 50mila euro.
Salvati i piccoli, però, anche i grandi evasori possono continuare a dormire tra i due guanciali di casa. I controlli sui contribuenti più ricchi languono da sempre. Secondo la Corte dei Conti, su 588.011 accertamenti effettuati nel 2015 sul pagamento di imposte dirette e Iva – in vistoso calo rispetto all’anno precedente – 571.780 (il 97%) riguardano importi evasi non superiori ai 154.937 euro e 77.749 non avevano dato alcun esito. Tutte somme tra l’altro molto difficili da incassare, come testimonia il sostanziale fallimento dell’attività di riscossione di Equitalia denunciato dallo stesso governo con l’avvio dell’operazione “rottamazione” delle cartelle. Su 51 miliardi di crediti si punta a recuperarne tre.
Sempre in nome della “semplificazione” e per favorire la “compliance” dei contribuenti, gli scambi finanziari e le triangolazioni con gli stati ritenuti paradisi fiscali – di cui non esiste neppure più un elenco di riferimento – non devono essere più denunciati separatamente sulla dichiarazione dei redditi, rendendo ancora più difficili perfino i controlli automatici, ai quali si affida largamente l’Agenzia delle Entrate.
La prescrizione del reato scatta generalmente tra sei e un massimo di 7 anni e mezzo entro i quali si deve arrivare a sentenza definitiva e si calcola dal momento della presentazione della dichiarazione dei redditi, ma per controllarla il fisco ci impiega normalmente 4 anni. Se tutti questi nuovi paletti messi all’azione penale non fossero ancora sufficienti a evitare la galera anche ai recidivi più incalliti, per stare ancora più sicuri il legislatore ha stabilito che basta pagare il dovuto prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado per depenalizzare i reati di omesso versamento ed indebita compensazione. Così come l’infedele e l’omessa dichiarazione non sono punite se i debiti tributari, comprese le sanzioni amministrative e gli interessi, sono estinti entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo.
Nel buco nero delle novità legislative del governo Renzi è finita anche l’elusione fiscale, la pratica dei grandi gruppi di mettere in piedi sofisticate operazioni del tutto legali solo per evitare di pagare le tasse. Niente più carcere per i manager e la linea dura della magistratura sterilizzata per legge, con i poteri degli uffici giudiziari fortemente ridimensionati nell’individuare e perseguire l’abuso in caso di operazioni di tax planing. È la nuova disciplina sul contrasto all’elusione fiscale varata nel 2015 dal governo. Anziché limitarsi a definire la clausola antiabuso affermatasi con diverse sentenze della Corte di Cassazione a partire dal 2008 (nel 2011 l’incremento del gettito recuperato dai grandi gruppi è stato dell’800% rispetto al 2007), per inserirla in pianta stabile nel codice, il governo ha preso la palla al balzo per limitarne gli effetti.
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 15/01/2017
Lascia un commento