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Posts Tagged ‘riflessioni’

Ed eccoci qui. Feste finite. Si torna tutti a lavorare. h 9.00-18.00, cioè tutto il tempo diurno. Una giornata intera. I primi giorni sarà strano, faticoso, per alcuni anche bello. Tornare in gabbia toglie la libertà, ma protegge, anche. C’è gente che fuori dalla gabbia si sente morire. Il resto si sente morire quando è dentro.
Fine delle ferie e inizio di un anno senza ponti. Il primo è forse a giugno, poi si va a ottobre. All’orizzonte solo le ferie d’agosto. L’unica finestra aperta sulla semilibertà. Ma lontanissima…

Mi sono chiesto se scrivere qualcosa oggi. Mi sono detto “no, non infierire”. Ma io di questo rientro scrivo con compassione, con comprensione. Non sto affatto ironizzando, anzi. Un po’ mi manca il fiato… per conto terzi. Per me domani è una giornata come le altre, una giornata in cui decidere cosa fare, con qualche obbligo certo, ma con la maggior parte del tempo di cui disporre. Io ho 45 anni da qualche giorno e tendo alla libertà.

Si ricomincia quindi. E si ricomincerà sempre. Ci sarà sempre questo lunedì 10, alla fine di ogni piccola vacanza. Si lavora mediamente 335 giorni all’anno, su 365. Si lavora il 90% della giornata utile. Resta solo il tempo per qualche serata allegra, un po’ stanchi, e troppe cose, tutte insieme, nei giorni di riposo. Troppo. Così è troppo. Una vita in cui i progetti restano solo ipotesi somiglia più a un’ipotesi che a una vita. (altro…)

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Pausa

La cosa che mi colpisce di più, quando torno a Milano, è l’ora della pausa pranzo. Resto imbambolato a guardare i piccoli gruppi di colleghi che escono e si dirigono verso il bar. Quella scena si ripete ogni giorno…

Mi pare di capire quasi tutto, solo osservando. C’è il più alto in grado che cammina con lo sguardo basso, come perso nelle sue profonde riflessioni. Accenna un sorriso, ogni tanto, come dire “ascolto, certo, ascolto…”, oppure guarda avanti e pontifica, come stesse arringando una folla. La differenza sta solo nella sua stanchezza, nel suo bisogno di conferme. Poi c’è il suo antipode naturale, il più basso in grado, che guarda i volti, da uno all’altro, sorridendo. Tutto gli sembra significativo, non osa dire la sua, a volte invece si lancia… da una battuta migliore o peggiore sente che dipende molto della sua storia. E poi gli altri, esseri occasionali, che sono media nel ruolo e nella compagnia, incerti se restare in silenzio come il più giovane o prendere parte, esprimersi, ma che non sembri troppo, che non sia eccessivo. Nessuno guarda mai in alto, verso il cielo. Eppure ci sono splendide nuvole oggi…

Quei ragazzi (che poi di ragazzi si stratta, basta immaginarli adolescenti, nel cortile, correre dietro a un pallone, ed è facile vederli) sono lì per denaro, sono lì per circostanza, per occasione e convenienza, per bisogno. Il loro buonumore deriva in parte dalla pausa che stanno effettuando, dal riposo meritato a cui hanno diritto. Per il resto galleggiano, in relazione con quello che c’è, compagni di viaggio quotidiani che non sono stati scelti, a cui non corrispondono, in luoghi assurdi, da cui dovrebbero evadere. Ma ostentano allegria, un’allegria costosissima, che li logora, che li renderà esangui, la sera, quando si ritroveranno nella loro casa dove potrebbero essere autentici, finalmente, ma troppo stanchi perfino per tentare.

Mi censuro, in questo sguardo. Provo tenerezza. Quei ragazzi fanno del loro meglio, si impegnano. Poi però non riesco, non ce la faccio… Li guardo con compassione, mi chiedo perché passare la vita su un palcoscenico tanto duro. E penso che la via c’è, che si può vivere in modo differente. Penso che qualunque sforzo, qualunque privazione sarebbero più giustificati della fatica di quella pausa pranzo a rincorrere parole, ruoli, giurisdizioni tra esseri che non comunicano, che se cambiassero datore di lavoro scomparirebbero, sostituirebbero con altri la funzione degli uni senza alcuna discontinuità.

Ogni volta che li vedo, mi ricordo. Ricordo la fatica delle parole al vento, sprecate, delle energie dissipate a non costruire niente, dello sforzo duro a essere-come-si-doveva, non come-si-poteva, come sarebbe stato giusto. Penso alla violenza di uno, due anni, dieci, trent’anni trascorsi così, o tutta la vita perfino. Sorrido, perché mi tornano a mente i discorsi di tante persone incontrate quest’anno, che hanno capito almeno questa pausa pranzo, almeno questo momento, e si rivolgono altrove. Qualunque impegno, qualunque costo, è inferiore a questo. Qualunque tentativo offre in cambio, almeno, la dignità.

simoneperrotti.com

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  “Nessuno sarà lasciato solo”

(6 aprile 2009)

“Tendopoli da prendere come camping da fine settimana”

(9 aprile 2009)

“Tre mie case per gli sfollati
“Ricostruiremo le case al 100%”
(18 aprile 2009)

“Per sfollati pensiamo a crociere”
“L’obiettivo è ricostruire L’Aquila, dove cerco casa per agosto”
“Qui un record, ad Haiti un dramma”

 Solo due riflessioni.

Primo) Penso che dopo la manifestazione e gli scontri di ieri, ancora più persone si siano accorte che forse non solo Draqula offende o ha offeso l’Italia.

Secondo) Non so se sapete che a dispetto di quei due imprenditori che ridevano alle 3.32, ce n’è un altro che due mesi dopo ha addirittura vinto le Elezioni Europee.
 

cogitoergovomito

 

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