I personaggi.
Da mesi il governatore interviene per smentire il leader.
MILANO – A sentire le loro risposte sulle continue ed evidenti discordanze di vedute, sembra quasi che il cane e il gatto si siano messi d’accordo: «Ma è normale, lui fa il segretario di partito mentre io ho una responsabilità di governo », dice Roberto Maroni. «Ma è normale, lui ha responsabilità di governo, io faccio il segretario di partito», dice Matteo Salvini. Una storia dentro la storia della Lega Nord, fatta di tensioni continue ma a basso voltaggio, con un particolare che la rende anche narrativamente “epica”: perché colui che diede il partito nelle mani di Salvini fu proprio Maroni.
Il padre che uccide il figlio e viceversa, chissà. L’ultimo smarcamento del presidente lombardo è avvenuto al meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, venerdì scorso. Mentre il segretario su Facebook come da tradizione caricava a pallettoni contro l’intervento del presidente della Repubblica alla platea Cl («complice di scafisti, sfruttatori e schiavisti), l’ex ministro dispensava “pragmatismo istituzionale”: «Ho trovato le parole di Mattarella piene di buonsenso. Non commento i commenti. Sto a quello che ho sentito. Mattarella ha detto delle cose condivisibili, che secondo me sono una denuncia dell’inefficienza del sistema europeo e italiano di gestione dell’immigrazione clandestina». È un po’ il gioco della Lega di lotta (Salvini) e di governo (Maroni, Luca Zaia), se non fosse che l’ambizione conclamata del “Capitano” è quella di fare il leader del centrodestra. Senza però voler abbandonare il proprio profilo barricadero e politicamente scorretto.
Il controcanto maroniano è ormai un classico degli ultimi mesi. Salvini dice una cosa, Maroni la commenta con un «sì, ma…». E dentro il “ma” c’è il contrario del sì. Salvini dice peste e corna di Angelino Alfano e del’Ncd, Maroni difende il “modello Lombardia” (cioè alleanza di centrodestra larga con l’Ncd). Salvini non sopporta Maurizio Lupi, Maroni ci intrattiene uno stretto rapporto. Il governatore lancia le scritte per il Family day sul Pirellone, il segretario non va al corteo del Family day. Uno dice che la base ama ancora il suo slogan “prima il nord”, l’altro investe energie nella campagna per il sud. il primo è politicamente innamorato del lepenismo, il secondo risponde che è solo una questione tattica e non strategica. Maroni parla alle feste dell’Unità e viene pure applaudito, Salvini non ci metterebbe piede.
Da Ponte di Legno, a Ferragosto, il segretario ha mandato un altro segnale a Maroni: «Dovrà impegnarsi per mantenere la promessa fatta in campagna elettorale, quella di togliere il bollo auto ai lombardi». Costo dell’operazione: un miliardo di euro. Fosse facile trovarlo. Il punto della questione è che sia l’uno che l’altro parlano e si muovono pensando più alle dinamiche del centrodestra che a quelle interne. Se per Salvini si vince con la radicalità, per Maroni le sparate del segretario sono utili solo al brand Lega ma non a quello complessivo della coalizione.
Non è un caso che quando Maroni decise di affidare il Carroccio a Salvini in un pranzo a tre con l’ex Flavio Tosi, i patti erano chiari: a “Matteo” il partito, al sindaco di Verona il sostegno per diventare leader del centrodestra.
Articolo intero su La Repubblica del 21/08/2016.
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