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Posts Tagged ‘stefano rodotà’

QUANDO arrivano notizie che possono riguardare direttamente o indirettamente le nostre informazioni personali, dovremmo ormai sapere che non si tratta mai di vicende di poco conto, e che non basta considerarle solo dal punto di vista, pur rilevante, della privacy. Così è per il recentissimo voto con il quale il Congresso americano ha ridotto in maniera radicale la tutela delle persone in relazione al trattamento dei loro dati, che ora possono essere raccolti, elaborati e fatti circolare senza che sia necessario ottenere preventivamente il consenso dell’interessato.

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LE cronache ci mostrano quasi ogni giorno come vi sia una intensa richiesta di autodeterminazione, che davvero investe l’intero arco della vita.
CASI come quello di Fabiano Antonini, il dj Fabo, individuano il punto più intenso della libertà esistenziale, perché pongono non solo la questione di chi abbia il potere di scrivere il “palinsesto della vita”, di individuarne il perimetro, ma soprattutto fanno divenire ineludibile il problema di chi possa avere il potere di determinarne la durata, di stabilire se debba continuare o no l’essere nel mondo di una persona.

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DA TEMPO democrazia e diritti si allontanano, e gli effetti del fallito golpe in Turchia confermano in modo eloquente questa tendenza. I governi hanno dato la loro solidarietà ad Erdogan con l’argomento che istituzioni democraticamente votate non possono essere cancellate con un colpo di forza. Ma poi non reagiscono adeguatamente di fronte alla cancellazione di diritti fondamentali – libertà personale, informazione, manifestazione del pensiero -, delle garanzie giurisdizionali, e alla quotidiana mortificazione delle persone, accompagnate addirittura dalla sospensione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

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È STATO evidente fin dall’inizio che le proposte di modificare la legge elettorale esprimono strategie diverse, anche profondamente conflittuali. Si sta giocando una partita tutta politica, in cui si coglie anche un forte uso congiunturale delle istituzioni, appiattite sulle esigenze del breve o brevissimo periodo. È quel che sta accadendo con le proposte di modificare la legge elettorale per impedire la vittoria del Movimento 5Stelle in un eventuale ballottaggio, che tuttavia, con il passaggio dal voto di lista ad uno di coalizione, servirebbe pure a salvare gli spezzoni di partito all’interno di centrodestra e centrosinistra, che altrimenti sparirebbero.

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VALUTANDO i risultati dei ballottaggi, Matteo Renzi ha voluto subito sottolineare che la capacità attrattiva dell’M5S dipendeva dal fatto che era stato percepito come soggetto del “cambiamento”. Ed ha aggiunto che da questo portava con sé la conclusione che il governo doveva insistere con ancor maggiore determinazione sulla strada delle “riforme”.

MA PROPRIO le parole adoperate per una diagnosi così sbrigativa mostrano gli equivoci politici che la caratterizzano e l’intenzione di sfuggire alle domande più stringenti che le elezioni hanno proposto.
Non si può certo dimenticare il fatto che il Presidente del Consiglio ha sempre insistito in maniera martellante proprio sul cambiamento che il suo governo avrebbe già determinato in tutte le materie più significative. Perché l’opinione pubblica non ha dato rilievo a questo fatto proprio nel momento in cui il governo si presentava al giudizio dei cittadini?

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ERA chiaro fin dall’inizio che la richiesta di tregua all’interno del Pd avanzata da Renzi mirava a tutt’altro che a una moratoria della politica. Occupando l’intero orizzonte con l’enfasi sull’epocale obiettivo della riforma costituzionale, si volevano creare le condizioni propizie per costruire nel fuoco di una lotta senza quartiere un’altra politica e un altro partito. Man mano che passano le giornate, e l’attivismo del Presidente del Consiglio si fa sempre più frenetico e compulsivo, tutto questo diviene più evidente, un rullo compressore viene lanciato su società e politica per spianare qualsiasi ostacolo, e di questo contesto bisogna tenere conto perché la discussione sul referendum costituzionale corrisponda alla sostanza delle cose.

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LA CAMPAGNA elettorale per il referendum costituzionale, già cominciata da tempo, ha avuto una forte e prevedibile accelerazione dopo i risultati del referendum sulle trivelle. E dalle polemiche e dai conflitti di questi giorni già vengono indicazioni che consentono di avanzare ipotesi sui caratteri che assumerà la campagna elettorale e sugli effetti che via via si produrranno nel sistema politico-istituzionale.
Si deve partire da una constatazione. I referendum sono un gioco a somma zero, un sì contro un no, un vincitore e un vinto, e quindi il conflitto è nella loro stessa natura. Fatta questa ovvia constatazione, si tratta poi di stabilire per ciascun referendum come si strutturi concretamente il conflitto, con quali caratteristiche e intorno a che cosa.

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FU PROPRIO questo giornale, subito accompagnato dall’attivismo della Rete e poi dal risveglio delle piazze, ad avviare nel 2010 la campagna “No bavaglio”, che impedì l’approvazione di una pessima legge sulle intercettazioni che avrebbe limitato gravemente la libertà d’informazione. Ma da allora in poi si è assistito ad uno stillicidio di polemiche e di proposte, quasi sempre insincere e strumentali, che andavano sostanzialmente nella stessa direzione. Si diceva che era necessario tutelare la privacy dei cittadini, perché le intercettazioni avevano fatto nascere una sorveglianza di massa. Tesi del tutto infondata, ma che cercava di offrire una giustificazione ad iniziative di una classe politica che voleva costruirsi una rete di protezione che la mettesse al riparo da una conoscenza diffusa di fatti che avrebbero messo in evidenza corruzione, conflitti d’interessi, evasione fiscale, prepotenze privatistiche.

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NEL MARZO di trentasei anni fa Italo Calvino pubblicava su questo giornale un articolo intitolato Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti. Vale la pena di rileggerlo (o leggerlo) non solo per coglierne amaramente i tratti di attualità, ma per chiedersi quale significato possa essere attribuito oggi a parole come “onestà” e “corruzione”. Per cercar di rispondere a questa domanda, bisogna partire dall’articolo 54 della Costituzione, passare poi ad un detto di un giudice della Corte Suprema americana e ad un fulminante pensiero di Ennio Flaiano, per concludere registrando il fatale ritorno dell’accusa di moralismo a chi si ostina a ricordare che senza una forte moralità civile la stessa democrazia si perde.
Quell’articolo della Costituzione dovrebbe ormai essere letto ogni mattina negli uffici pubblici e all’inizio delle lezioni nelle scuole (e, perché no?, delle sedute parlamentari).

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acqua_bene_comune
QUASI cinque anni fa, nel giugno 2011, ventisei milioni di italiani votarono sì in un referendum con il quale si stabiliva che l’acqua deve essere pubblica. Oggi, ma non è la prima volta, si cerca di cancellare quel risultato importantissimo, approvando norme che sostanzialmente consegnano ai privati la gestione dei servizi idrici. Non è una questione secondaria, perché si tratta di un bene della vita e perché viene messa in discussione la rilevanza di uno strumento essenziale per l’intervento diretto dei cittadini. Tutto questo avviene in un momento in cui si parla intensamente di referendum sì che, prima di approfondire la questione, conviene dire qualcosa sul contesto nel quale ci troviamo.

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BucchiLA legge sulle unioni civili sembra ormai avviata verso una conclusione che la amputa di un suo punto assai significativo e annuncia una soluzione politica.

UNA soluzione che ben potrebbe essere considerata paradossale, se i modi fantasiosi dell’attuale politica non l’avessero spinta verso funambolismi che la destituiscono di vera credibilità. Si rafforza, infatti, l’attuale maggioranza di governo proprio sul terreno più “divisivo” tra Pd e Ncd. Ma non sarebbe questo l’unico paradosso, o l’unica contraddizione, di una fase così confusa e politicamente così mal gestita. E allora è il caso di fare una prima valutazione di quel che è già avvenuto, di quanto si è già perduto e di quanto si può ancora perdere.

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dignità e identitàLA DISCUSSIONE sulle unioni civili avrebbe bisogno di limpidezza e di rispetto reciproco, invece d’essere posseduta da convenienze politiche, forzature ideologiche, intolleranze religiose.

DI FRONTE a noi è una grande questione di eguaglianza, di rispetto delle persone e dei loro diritti fondamentali, che non merita d’essere sbrigativamente declassata, perché altre urgenze premono. I diritti, dovremmo ormai averlo appreso, sono indivisibili, e quelli civili non sono un lusso, perché riguardano libertà e dignità di ognuno.
Bisogna liberarsi dai continui depistaggi. La maternità surrogata, vietata fin dal 2004, viene evocata per opporsi all’adozione dei figli del partner, penalizzando proprio quei bambini che si dice di voler tutelare e tornando così a quella penalizzazione dei figli nati fuori dal matrimonio eliminata dalla civile riforma del diritto di famiglia del 1975.

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Unioni-gayLA STRADA fin troppo lunga verso un primo significativo riconoscimento delle unioni civili continua a incontrare ostacoli visibilmente pretestuosi anche quando si fa appello a grandi principi. È accaduto con la critica all’utero in affitto, con l’invocazione dei diritti dei minori e, infine, con il richiamo della libertà di coscienza.
MA la prova politica che comincia oggi in Parlamento deve liberarsi da strumentali richiami che vogliono impedire ancora una volta un risultato di civiltà della cui importanza e urgenza i cittadini sono ormai ben consapevoli.

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LA discussione sulle unioni civili avrebbe bisogno di limpidezza e di rispetto reciproco, invece d’essere posseduta da convenienze politiche, forzature ideologiche, intolleranze religiose. Di fronte a noi è una grande questione di eguaglianza, di rispetto delle persone e dei loro diritti fondamentali, che non merita d’essere sbrigativamente declassata, perché altre urgenze premono. I diritti, dovremmo ormai averlo appreso, sono indivisibili, e quelli civili non sono un lusso, perché riguardano libertà e dignità di ognuno.
Bisogna liberarsi dai continui depistaggi.

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diritti-civili

I tempi dei diritti sono sempre difficili. Lo conferma la lunga e travagliata vicenda delle unioni civili, la cui conclusione è annunciata dal Presidente del Consiglio per il 2016. Le ragioni delle difficoltà sono molte. I diritti incidono sull’ordine costituito.

REDISTRIBUISCONO poteri, e per ciò si cerca di neutralizzare questa loro intima capacità di cambiamento contrapponendo loro doveri sempre più aggressivi, imponendo limiti costrittivi, subordinandoli a convenienze politiche talora meschine e così pianificando scambi tra sacrificio di diritti sociali e mance di diritti civili. Si è inclini a dimenticare che i diritti sono indivisibili e che le vere stagioni dei diritti sono quelle in cui diritti individuali e diritti sociali procedono insieme. È il modello, non dimentichiamolo, della nostra Costituzione. È quello che è accaduto negli anni ’70, quando il congiungersi del “disgelo costituzionale” e della capacità della politica di cogliere senza timidezze le dinamiche sociali cambiò davvero l’Italia, senza reazioni di rigetto determinate dal fatto che le richieste di diritti hanno sempre la loro origine nello sguardo lungimirante e nella cultura delle minoranze escluse.

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NO, non si possono valutare le novità che ogni giorno compaiono nel mondo della sinistra ritornando a quel pensiero di Mao secondo il quale «grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente». E neppure ci si può affidare alla speranza di cento fiori che fioriranno. Proprio perché si tratta di iniziative significative, servono analisi rigorose, senza nostalgie o compiacenze, per cercar di cogliere gli elementi di una consapevole discontinuità e i segni di una attenzione per la realtà legata ad uno sguardo sul futuro.
Il sistema politico italiano si sta riassestando. Matteo Renzi persegue la sua costruzione del partito della nazione esercitando una forte capacità di attrazione verso un mondo di destra disgregato e alla ricerca di approdi. Il Movimento 5Stelle sembra anch’esso guardare oltre i suoi abituali confini, consapevole di una forza che gli proviene dal suo apparire come l’unica plausibile opposizione.

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DI FRONTE ad una politica aggressivamente ripiegata sulla sola economia, sono i giudici che cercano di mantenere viva l’Europa dei diritti. Lo ha confermato qualche giorno fa una sentenza della Corte di Giustizia di Lussemburgo che ha dichiarato illegittima una decisione della Commissione europea del 2000 sul trasferimento dei dati personali dai paesi dell’Unione europea negli Stati Uniti perché violava il diritto fondamentale alla tutela della privacy. La sentenza nasce da un caso riguardante Facebook, è stata certamente influenzata dalle rivelazioni di Edward Snowden sullo spionaggio elettronico americano, ma mette in evidenza un vizio d’origine dell’intesa tra Commissione europea e amministrazione degli Stati Uniti, sul quale bisogna riflettere.

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VI è un filo tenace che lega le norme già approvate sui controlli a distanza dei lavoratori e quelle che si annunciano sulle intercettazioni telefoniche. In entrambi i casi siamo di fronte ad interventi che incidono su diritti fondamentali delle persone. In entrambi i casi è il governo che ha il potere finale di decidere in materie così delicate. Bisogna seguire con attenzione vicende come queste per comprendere come stiano cambiando le nostre istituzioni.
E NON farsi soltanto fuorviare dalle non edificanti schermaglie intorno alle modalità di elezioni del Senato.
Il meccanismo messo a punto è molto semplice. Il Governo chiede ed ottiene dal Parlamento una delega per regolare questioni della massima importanza, che riguardano la vita delle persone e i caratteri che viene assumendo la stessa democrazia. Le apparenze sono quelle di un pieno rispetto della legalità costituzionale. La sostanza è quella di un suo non indifferente svuotamento. La Costituzione, infatti, prevede che il Parlamento possa delegare al Governo potere normativo, in base però a precisi principi e criteri direttivi che esso stesso individua. La voce del Parlamento torna poi a farsi sentire quando è chiamato ad esprimere un parere, sia pure non vincolante, sui decreti predisposti dal Governo.

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L'incognitaERA prevedibile, anzi attesa, una dichiarazione critica di esponenti della Conferenza episcopale sul disegno di legge sul riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso. La discussione è benvenuta, secondo la buona regola laica per cui tutte le opinioni meritano rispetto.
CON L’OVVIA condizione che non si pretenda di attribuire all’una o all’altra un valore aggiunto legato all’autorità, vera o presunta di chi l’ha manifestata. Una questione a parte, e di non poca rilevanza, è rappresentata dal senso che oggi assume la ben nota frase di Papa Francesco, riferita alle persone omosessuali, «chi sono io per giudicare? ».

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LA DECISIONE della Corte europea dei diritti dell’uomo sui diritti da riconoscere alle unioni tra persone dello stesso sesso, che già suscita polemiche, era prevedibile per chi conosce la giurisprudenza di quella Corte, la sua evoluzione, le novità introdotte proprio in questa materia anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

INTERVIENE in un momento in cui la discussione si è fatta sempre più accesa dopo l’annuncio del Presidente del Consiglio di arrivare prima delle ferie parlamentari all’approvazione, almeno da parte di una delle Camere, di una legge in materia. Siamo di fronte ad un invito esplicito al legislatore italiano, con indicazioni importanti e che non possono essere trascurate.

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